sala IV

corrispondenze

« Che ne dici di un mondo dove ciascuno adotta qualcun altro? Di un’adozione universale dove non ci sono più né padri né figli né madri né figlie? Ovvero dove tutti siamo padri e figli allo stesso tempo? Un abbraccio da tuo padre o da tuo figlio Massimo »
— massimo rizzante, lettera del 17 maggio 2014

don delillo \ rumore bianco \ 1984

Don DeLillo

Don DeLillo ritratto dall'Observer Culture

Hai sempre pensato che Rumore bianco rappresenti la maturità di uno scrittore e una pagina fondamentale nella storia sovranazionale del romanzo. L’architettura (quaranta brevi capitoli di cui il ventunesimo, il più lungo, racchiude l’intera parte dedicata all'evento tossico aereo), lo stile, l'eleganza dell'immaginazione, l’ironia degna di Rabelais: tutto in quest'opera contribuisce a esplorare gli abissi dell’apocalisse moderna nelle sue infinite possibilità (onde, radiazioni, nubi tossiche) e nei suoi antidoti micidiali (l’esposizione mediatica, il consumismo selvaggio, la farmacologia), per comporre un quadro agghiacciante del rumore bianco che riempie le nostre vite. Ti chiedi perché leggere questo romanzo: la risposta è che nessun profeta del postmodernismo è riuscito, come DeLillo, a farti comprendere il mondo in cui ti aggiri disorientato, a rivelarti la sua sacralità, il sentimento di trascendenza che si nasconde in ogni sensibilità conturbata. E perché, naturalmente, c’è “rumore bianco ovunque”.

massimo rizzante \ opere

Massimo Rizzante

Massimo Rizzante ritratto da Yu Jen-chih, Taipei, febbraio 2013

Ognuno di noi dovrebbe leggere l’intera opera di un poeta. Lo ha scritto Iosif Brodskij e tu hai scelto di farlo con quella di Massimo Rizzante. Giureresti di non avere mai conosciuto nessuno che viva con più purezza di Rizzante il compito di soccorrere le arti smarrite in un indistinto “tutto è uguale a tutto”, che le sostenga più fieramente, perché lasciarle a se stesse sarebbe fatale per la sorte di tutti. È forse per questo che pensi a lui come al custode di una tradizione, a un maestro del dialogo e della passione estetica, l'unica virtù che secondo Hillman “fornisce molteplici campi di confronto con l’inumano e il sublime sicuramente meno catastrofici dei campi di battaglia”. Da Massimo hai imparato che le opere d'arte rispondono a una gerarchia di valori, che la creazione letteraria è elitaria, che si scrive soprattutto per amicizia e che un romanzo lascia il segno quando è un dono fatto di scoperte e innovazioni. Il vostro incontro ha mitigato una solitudine radicale. E oggi, nella "Valle del fare Anima", il suo daimon si accompagna al tuo.

www.massimorizzante.com

james hillman \ un terribile amore per la guerra \ 2004

James Hillman

Non scorderai lo psicanalista-filosofo com'è accaduto con altri tuoi eroi. Non dimenticherai l'uomo che è stato capace di rivolgere lo sguardo a quello che una intera civiltà ha smesso di vedere. Ricorderai, in particolare, questo suo saggio che affronta senza anestesia la terribile verità della guerra, l'autonomia mitica che si consuma sui campi di battaglia, e che descrive la carneficina come un'opera umana e un orrore inumano, "e un amore che nessuna altro amore è riuscito a vincere". Una ascesa, pagina dopo pagina, fino all'incontro con Ares, nell'urlo e nello scuotimento, là dove secondo Bolaño "si nasconde il segreto del mondo". Da questa lettura hai tratto un antidoto alla violenza della guerra. Quale? Il dialogo, la furia dei sensi e del coinvolgimento estetico di Venus Victrix, "a stendo distinguibili da quelli di Marte". Dopo averti restituito l’anima, dopo avere innalzato uno scudo contro il vuoto delle religioni, James Hillman ti ha lasciato in dono anche la possibilità impagabile che “la compresenza di visibile e invisibile è ciò che alimenta la vita”.

murasaki shikibu \ genji monogatari \ 1001-1008

Murasaki Shikibu

Nishiki-e di Komatsuken (circa 1765)

Gaston Bachelard l'ha detto: l’immaginazione aumenta il valore della realtà. E tu hai pensato: tra i miei maestri d’immaginazione Murasaki è certamente la più sottile. All'ombra del suo paravento ti ha insegnato che la bellezza si nasconde nel silenzio delle cose. La sensibilità del suo sguardo racconta, come nessun altro ha saputo fare, la dolcezza di un viso “ravvivato dal calore del sonno”, l’eleganza di un gesto distratto, di un tratto calligrafico, la serietà del canto a squarciagola degli usignoli “nonostante la pioggia”. Non è forse questa che chiamiamo universalità di un testo? L’influenza di un’opera che da più di mille anni sopravvive al mercato del mondo, intatta, senza cadute, senza smettere di offrirci in dono l’illimitato valore della realtà immaginata.

euripide \ baccanti \ 407-406 a.C.

Euripide

Busto di Euripide di tipo Rieti. Arte romana (circa 20 a.C)

Se tuo padre fosse Dioniso tu batteresti "la terra con il tirso, notte e giorno”, danzeresti con le menadi, sfileresti in corteo con i satiri, porteresti la maschera del dio alla festa della vendemmia, innalzeresti il calice al suono dei cimbali. Gli uomini si interrogano. Su che cosa riflette Euripide nelle Baccanti? Sulla propria conversione religiosa o, al contrario, sul proprio ateismo? La sua è davvero una critica ai limiti della sophia? O l'arte della tragedia ha invece l'ingannevole pretesa di affinare la nostra sensibilità, di renderci più umani? Gli uomini si interrogano, mentre i figli di Bromio giocano con i serpenti e le pelli di cerbiatto. Per loro il rompicapo rappresentato dalle Baccanti si risolve nel solo mistero che ogni opera letteraria esprime compiutamente: quello della bellezza. Una bellezza che qui ti appare ineffabile come il dio, rendendoti “partecipe dell’unica natura che scrive e che legge” (Bloom).

« Sometimes I have difficulties knowing what of my existing body and soul is myself-self and what is my second and more hidden self, the one that pushes me constantly from what I call my-self-lazy-self. I am, I confess, constantly in a snowstorm, in some kind of a snowstorm or shooting star's tail-tales. But anyway, have a sunshine from me and a blue blue... song »
— gudbergur bergsson, lettera del 22 gennaio 2015

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VIRGILIO, Georgiche, 29 AC

FRANÇOIS RABELAIS, Gargantua e Pantagruel, 1532-34

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JAMES JOYCE, Ulisse, 1922

VIRGINIA WOOLF, Orlando, 1928

WILLIAM FAULKNER, Le palme selvagge, 1939

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FRANCIS PONGE, Il partito preso delle cose, 1942

J.D. SALINGER, Il giovane Holden, 1951

DYLAN THOMAS, Under Milk Wood, 1954

ALEJO CARPENTIER, Guerra del tempo, 1956

ALBERT CAMUS, L'esilio e il regno, 1957

MAX FRISCH, Homo Faber: resoconto, 1957

MILOS CRNJANSKI, Lamento per Belgrado, 1960

JULIO CORTÀZAR, Storie di cronopios e di famas, 1962

THOMAS PYNCHON, L'incanto del lotto 49, 1966

KURT VONNEGUT, Mattatoio n° 5 o La crociata dei Bambini, 1969

JUAN RODOLFO WILCOCK, La sinagoga degli iconoclasti, 1972

INGEBORG BACHMANN, Tre sentieri per il lago, 1972

GEORGES PEREC, La vita, istruzioni per l'uso, 1978

JOYCE CAROL OATES, Un'educazione sentimentale , 1980

JOSÉ SARAMAGO, La zattera di pietra, 1986

MILAN KUNDERA, L'arte del romanzo, 1986

PHILIP ROTH, Il teatro di Sabbath, 1995

GEORGE SAUNDERS, Pastoralia, 2000

WILLIAM GADDIS, L'agonia dell'agape, 2002

CARLOS FUENTES, Vlad, 2010

JENNIFER EGAN, Il tempo è un bastardo, 2010